«Santità, non ho mai riciclato denaro sporco, non ho mai rubato, le mie operazioni allo Ior sono sempre state fatte sotto consiglio della direzione dei dirigenti, sempre secondo la legge canonica dello Ior». Monsignor Nunzio Scarano, capo della contabilità della sezione straordinaria dell’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), arrestato a giugno con l’accusa di corruzione e calunnia, scrive al Papa e respinge ogni accusa.
Mentre Francesco preparava le valigie per Rio de Janeiro, «Don 500 euro», il 20 luglio, prendeva carta e penna e dalla sua cella del carcere di Regina Coeli scriveva una lettera di tre pagine indirizzata a Bergoglio, allegando una seconda missiva recapitata invece all’anziano cardinale cileno Jorge Medina Estevez, uno dei più importanti porporati di Curia ai tempi di Wojtyla. Una lettera scritta da Don Nunzio per difendersi agli occhi del nuovo Papa, per dare la sua versione dei fatti, elencando tutte le opere di beneficienza compiute con i soldi accreditati sul suo conto dai fratelli D’Amico (per i quali il monsignore stava cercando di far rientrare illegalmente dalla Svizzera 20 milioni di euro) e allo stesso tempo per togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Scarano scrive dunque a Francesco (al quale pare abbia chiesto di recente udienza per lamentarsi dell’Apsa), dicendogli di possedere dei documenti che vorrebbe consegnargli «segretamente» perché «prova della mia onestà e di tutte le battaglie fatte contro l’abuso dei miei superiori laici, ben coperti da alcuni signori cardinali, che erano e sono rimasti con i famosi scheletri negli armadi e ben ricattati e usati dai miei superiori laici».
Fatti e vicende che risalgono ad almeno 15 anni fa e che Don Nunzio dice di poter dimostrare grazie al «plico segreto» che custodiscono i suoi legali, e contenente carte raccolte in 22 anni di servizio nonostante mille difficoltà: «Io presso l’Apsa sezione straordinaria ero l’unico prete e ben poco mi era consentito di fare – scrive Scarano al Papa – pur avendo chiesto aiuto più volte al signor cardinale Stanislao Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II». Il monsignore chiama in causa quindi anche il potente segretario del Papa polacco che insieme all’ex presidente dello Ior, Angelo Caloia e all’ex Segretario di Stato, Angelo Sodano, era una delle tre figure chiave del pontificato di Wojtyla.
Proprio Sodano sarebbe stato contattato senza successo dallo stesso Scarano: «Chiesi udienza a Sua Eminenza – scrive il sacerdote – ma l’astuto e furbo monsignor Giorgio Stoppa (nella trascrizione si legge «monsignor» ma in realtà Stoppa è un laico, ex delegato della sezione straordinaria dell’Apsa, ndr) riuscì a non farmi ricevere e per giunta punirmi, spostandomi in un altro ufficio e facendomi continuamente controllare». Una vicenda che Francesco esaminerà di ritorno dal Brasile, quando troverà la lettera del sacerdote sulla sua scrivania: a quel punto il Papa dovrà decidere se richiedere quelle carte, considerate da Scarano fondamentali per contribuire a «riordinare finalmente la triste realtà amministrativa, economica e finanziaria della Santa Sede e di tutti gli abusi annessi e connessi».
(Articolo scritto per Il Giornale)