Oggi è stata resa pubblica la requisitoria del promotore di giustizia del Vaticano e la sentenza di rinvio a giudizio per Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera del Papa, arrestato con l’accusa di furto aggravato di documenti riservati. Rinviato a giudizio per favoreggiamento anche Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato. In casa di Paolo Gabriele, oltre ai documenti trafugati sono stati rinvenuti anche un assegno da 100.000 euro intestato al Papa, una pepita d’oro (sempre donata al Papa) e un volume dell’Eneide del 1500. Nella requisitoria sono riportati i dialoghi di Paolo Gabriele con i magistrati e le testimonianze (molte rese anonime dagli “omissis”) che aiutano a ricostruire la vicenda del Vatileaks. Ecco come sono stati scoperti i corvi e cosa hanno detto ai giudici.
Padre Georg scopre il corvo
“Il 19 maggio 2012 è stato pubblicato il già citato volume di Gianluigi Nuzzi Sua Santità. Il 21 successivo si è svolta una riunione della “Famiglia Pontificia”, riunione di cui era preventivamente informato il Santo Padre. Erano presenti Mons. Georg Gänswein, Segretario particolare di Sua Santità, Mons. Alfred Xuereb, Prelato d’Onore di Sua Santità, Suor Birgit Wansing, le quattro memores e Paolo Gabriele.
Mons. Georg Gänswein, dopo aver riferito che nel volume erano inseriti documenti riservati, ha chiesto a ciascuno dei presenti se avesse consegnato documenti al giornalista. A fronte delle risposte negative dei presenti, Mons. Georg Gänswein ha fatto presente al Gabriele che «due lettere pubblicate nel volume “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI” certamente lui (Gabriele) aveva avuto per le mani in quanto (egli Mons. Georg Gänswein) aveva chiesto a lui di preparare una risposta e che inoltre non erano uscite dall’ufficio. Gli ho anche indicato un appunto di P. Lombardi relativo al caso (…) che certamente non era uscito dall’ufficio. Avendogli detto davanti a tutti che questo, pur non dando la prova, creava un forte sospetto nei suoi confronti, ho avuto come risposta una negazione decisa e assoluta del fatto» (teste Gänswein 18 luglio 2012, doc. 136). La teste O (stessa data, doc. 135) ha precisato, in proposito, che «egli (il Gabriele) non soltanto ha negato in modo fermo e deciso ogni sua responsabilità ma ha chiesto con molta meraviglia come questi sospetti fossero potuti nascere nella mente di Mons. Georg Gänswein ». Circostanze queste, confermate dalle testi M, già citata, e N, un’altra delle memores (stessa data, doc. 137).
Cosa pensa Padre Georg di Paolo Gabriele
«Era persona [l’imputato Paolo Gabriele] che aveva bisogno comunque di essere continuamente instradato e guidato. Era un esecutore a cui quindi non si potevano affidare compiti di natura diversa, anzi talvolta era necessario ripetere le cose più di una volta. Comunque avendolo conosciuto dopo circa un anno ho ritenuto che potesse svolgere anche qualche compito di ordinaria amministrazione o routinario in relazione al mio Ufficio. Erano comunque sempre cose semplici. Tutto al più, qualche lettera in lingua italiana e di amministrazione molto ordinaria. Mi è comunque sembrato una persona onesta della cui lealtà non si poteva dubitare ed è proprio per questo che gli ho potuto affidare qualche compito da svolgere in ufficio… che gli ha consentito quindi di essere presente nello stesso. Non gli ho mai trasmesso o fatto vedere documenti riservati né tantomeno ho chiesto a lui di preparare le risposte in questi casi. Lui comunque essendo presente era in grado di poter seguire il flusso dei documenti ancorché non il contenuto».
“Io infiltrato dello Spirito Santo, ecco perché l’ho fatto”
Nel secondo interrogatorio del 5/6 giugno, Paolo Gabriele parla ai giudici: «Ho proceduto alla duplicazione dei documenti fotocopiandoli in ufficio e successivamente portandoli a casa. Negli ultimi tempi, quando la situazione è degenerata, provvedevo, per non restare senza copie, alla loro duplicazione attraverso la fotocopiatrice inserita nella stampante del computer». In effetti «non ho conservato alcun documento originale in quanto altrimenti ne sarebbe stata notata la mancanza». L’imputato ha aggiunto: «anche se il possesso di tali documenti è cosa illecita ho ritenuto di doverlo effettuare spinto da diverse ragioni». Oltre agli interessi personali, fra i quali quello per l’intelligence, «ritenevo che anche il Sommo Pontefice non fosse correttamente informato». «Vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa… ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario… In qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato».
“Ecco a chi ho dato i documenti”
«ho scelto la persona del Nuzzi come interlocutore a preferenza di altri soprattutto per l’impressione che aveva destato in me il volume Vaticano S.p.A. Il Nuzzi mi dava fiducia perché mi sembrava persona preoccupata di dare informazioni senza gettare fango e senza calunniare altre persone». Il Gabriele ha, quindi, precisato le modalità con le quali ha rintracciato, in Italia, il Nuzzi e gli incontri con lui – sempre in territorio italiano – fra novembre 2011 e gennaio 2012 «a distanza di circa una settimana e poi di due settimane… successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di intensità». L’imputato ha, quindi, dichiarato di aver consegnato al Nuzzi i documenti a più riprese e che non aveva «mai ricevuto denaro o altri benefici». Il Nuzzi, del resto, gli aveva detto «che non era solito avere documentazione a pagamento». Il giornalista gli ha fatto anche un’intervista televisiva con «tutte le precauzioni necessarie affinché io non venissi riconosciuto», ma questa intervista è stata trasmessa solo in parte. Risponde quindi lamentando che nell’intervista televisiva apparsa nella trasmissione del Nuzzi, costruita in modo che non potesse essere riconosciuto, fossero state tagliate alcune parti, «in particolare quelle… nelle quali affermavo che le mie motivazioni erano state sempre quelle di venire incontro ad un miglioramento della situazione ecclesiale e non mai quelle di far danno alla Chiesa ed al suo Pastore».
«Dei documenti consegnati a Nuzzi ho fatto fotocopie che ho consegnato al padre spirituale B», asserendo che «fra le copie» consegnate al Nuzzi e quelle consegnate a B «ci fosse una identità», salvo eventuali diversità meramente casuali. Pertanto «le carte rimaste a casa (e sequestrate a seguito della perquisizione) sono sostanzialmente un rimasuglio disordinato dovuto al caos di documenti che avevo con me» (verbale del 5 giugno citato). Il 28 giugno 2012 è stato, quindi, convocato quale testimone B, il quale ha confermato di aver ricevuto dal Gabriele, tra il febbraio ed il marzo 2012, una serie di documenti conservati in una scatola con lo stemma pontificio, di cui non aveva conosciuto il contenuto. Nell’affidare tali documenti il Gabriele non ebbe a porgli alcuna condizione, ma si limitò a dirgli che «si trattava di documenti molto importanti che riguardavano la Santa Sede». B ha dichiarato di averli conservati per qualche giorno per poi bruciarli in quanto, soprattutto, «sapevo che… erano il frutto di una attività non legittima e non “onesta” e temevo che se ne potesse fare uso altrettanto non legittimo e “onesto”.
Non solo documenti rubati
Il Giudice istruttore ha, inoltre, contestato al Gabriele il ritrovamento a casa sua, in corso della perquisizione, di tre oggetti a lui non appartenenti:
1) Un assegno bancario di Euro 100.000,00 (centomila/00) intestato a Santidad Papa Benedicto XVI, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San Antonio di Guadalupe;
2) Una pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal Signor Guido del Castillo, direttore dell’ARU di Lima (Perù);
3) Una cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, dono a Sua Santità delle “Famiglie di Pomezia”.
Il Gabriele ha riferito «nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo».
Il Giudice Istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio.
L’imputato ha risposto: «Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune suore e ciò fu da me portato a conoscenza di Mons. Alfred Xuereb. Mons. Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi. Per quanto riguarda l’edizione dell’Eneide ricordo che avendo mio figlio cominciato lo studio di quel poema chiesi a Mons. Gaenswein se potevo far vedere il libro al professore di mio figlio. Lui mi disse di sì ed il libro rimase a casa mia in attesa di essere restituito».
Il tecnico informatico e il mistero delle due buste
il 25 maggio 2012 veniva eseguita una perquisizione nei locali della Segreteria di Stato e delle relative pertinenze in uso allo Sciarpelletti. All’interno del cassetto della scrivania lasciato aperto veniva reperita una busta recante, sulla parte dell’intestazione, “Personale P. Gabriele” e, sul retro, timbro a secco della Segreteria di Stato Ufficio Informazioni e Documentazioni. All’interno si trovava diverso materiale di interesse per le indagini in corso ed, in particolare, una relazione dal titolo “Napoleone in Vaticano” , riprodotta dal Nuzzi nel Volume Sua Santità.
La sera dello stesso giorno, dopo l’arresto, l’imputato ha dichiarato spontaneamente alla Polizia Giudiziaria che era stato Gabriele a consegnargli tutto il materiale contenuto nella busta «affinché io gli esprimessi un parere…Era mia intenzione aprirla e leggerla, ma non l’ho mai fatto perché la cosa non mi interessava più di tanto e a distanza di tempo, me ne sono dimenticato.
Ma l’indomani Claudio Sciarpelletti si contraddice: “Il 26 mattina, interrogato dal sottoscritto Promotore di Giustizia, lo Sciarpelletti ha invece dichiarato che «la busta…non mi è stata consegnata dal Sig. Paolo Gabriele e la parola scritta “Personale P. Gabriele” è stata da me apposta…Questa busta…mi fu consegnata da W affinché io la conservassi e la consegnassi a Paolo Gabriele. La busta mi è stata consegnata circa due anni fa ed è rimasta sempre chiusa e nella mia scrivania. Francamente io me ne ero dimenticato in quanto nessuno me l’aveva chiesta»”.
“Il 29 maggio 2012 lo Sciarpelletti ha peraltro, spontaneamente dichiarato alla Polizia Giudiziaria «mi ricordo di aver ricevuto una busta con appositi timbri…da W…per consegnarla al Sig. Gabriele e dove ho scritto in calce “Personale P. Gabriele” . Mi ricordo, solo ora, di aver ricevuto una busta simile, sempre chiusa, con apposti alcuni timbri…, di cui ignoro il contenuto, da parte di X», aggiungendo «per il mio lavoro…capita di portare corrispondenza per l’aiutante di camera e per i segretari del Santo Padre»”.