Domani si celebrerà in Vaticano la seconda udienza del processo a Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera del Papa accusato di furto aggravato. In attesa che l’imputato venga interrogato dai giudici in aula, sono nati su internet diversi gruppi di sostegno al corvo: per citarne alcuni “Io sto col maggiordomo”, “Giustizia per Paoletto”, ecc. Perché giustizia per Paoletto? Mi vien da pensare: la vittima è lui o le vere vittime dell’affaire “Vatileaks” sono altre?
Premessa: Paolo Gabriele è stato arrestato a maggio dalla Gendarmeria Vaticana per il furto dei documenti del Papa, ha ammesso di aver rubato da solo le carte riservate di Benedetto XVI perché ispirato dallo Spirito Santo e di averle consegnate a Gianluigi Nuzzi che a sua volta le ha pubblicate nel libro “Sua Santità”.
Dal libro (e da tutti gli articoli successivi all’esplosione del caso) vengono fuori chiaramente tre bersagli: a parte il Papa che subisce da mesi un attacco senza precedenti, le tre vittime principali di tutta questa vicenda sono il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano, Mons. Georg Gänswein, segretario particolare di Ratzinger e il comandante della Gendarmeria, il Dott. Domenico Giani, l’uomo che di fatto ha acchiappato il corvo grazie ad un’inchiesta lampo.
I documenti trafugati e pubblicati sono stati selezionati quasi esclusivamente tra quelli che riguardano queste tre persone (vedi gli appunti di Giani per Padre Georg, quelli di Padre Georg per il Papa, le foto della macchina della gendarmeria crivellata di colpi, le lettere di e contro il Card. Bertone, ecc.), persone che non a caso sono considerate “gli angeli custodi” del Papa, che da mesi cercano di proteggerlo da tutti i colpi bassi di corvi e cornacchie erudite. Ma Benedetto XVI lo sa, è al corrente dell’attacco ai suoi collaboratori (tra questi anche il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian) e lo scorso maggio ha pubblicamente rinnovato loro la fiducia (in particolare al Card. Bertone anche con una lettera datata luglio 2012).
Ma le carte forse non hanno avuto l’effetto sperato e così i corvi son passati al piano B, con imbeccate per articoli e lettere ai giornali: “Se il Papa non caccia Padre Georg e Bertone divulghiamo altre carte”, “Padre Georg verrà promosso e spedito via”, “Bertone non è in grado e verrà dimissionato”, “Giani ha fatto spiare gente in Italia”, “Vian ha le ore contate”, “Padre Georg odia Bertone”, “Bertone odia Padre Georg”, ecc. Ovviamente i protagonisti di commenti poco teneri sono sempre gli stessi, quasi si volessero influenzare le decisioni del Papa. Nonostante ciò in tanti oggi chiedono a gran voce giustizia per il maggiordomo. Giustizia per cosa? Non mi è ancora chiaro, come non mi è chiaro il senso di recentissimi commenti su un monsignore chiamato a testimoniare nel processo contro Claudio Sciarpelletti, l’informatico della Segreteria di Stato accusato di favoreggiamento. Si tratta di Mons. Carlo Maria Polvani, capo dell’ufficio Informazione e documentazione della Segreteria di Stato (lo stesso ufficio dove lavorava Sciarpelletti) e nipote del più noto Mons. Carlo Maria Viganò, ex segretario generale del Governatorato e autore di lettere infuocate indirizzate al Papa che hanno di fatto aperto il Vatileaks. Polvani è un testimone non è un indagato ma oggi soltanto per la sua parentela con uno zio “scomodo” viene trattato da molti quasi come un corvo. Come uno insomma con tutte le carte in regola per entrare a pieno titolo nel club dei bersagli. Speriamo che nel club i posti liberi siano terminati.