Il cardinale Zenari: «Noi cristiani restiamo in Siria, siamo pronti a dare la vita».

Il cardinale Mario Zenari con il presidente siriano Assad

Cardinale Mario Zenari, lei è il nunzio apostolico in Siria. Com’è la situazione ad Aleppo?
La situazione sta diventando inquietante, in certe zone c’è una calma sospetta, in altre ci sono scontri e sparatorie. La gente fa le valigie e si mette in strada, ma nemmeno lì sono sicuri perché ci sono i cecchini. E poi cadono missili ovunque, uno di questi è caduto vicino ad un convento di francescani, il collegio Terra Santa. L’edificio è rimasto molto danneggiato, ma per fortuna i due padri che vivono lì erano lontani al momento dell’esplosione.  
 
Per fortuna nessuna vittima in questo caso…
Grazie a Dio, ma è possibile che nei prossimi giorni vengano colpite ancora strutture civili o religiose perché questi ribelli vivono un po’ dappertutto e quindi per cercare di colpire loro è possibile che ci siano danni altrove.
 
La Chiesa rimarrà accanto al popolo, anche questa volta?
I vescovi delle zone interessate mi hanno detto che hanno tenuto una loro riunione telefonica e hanno deciso che rimarranno sul posto. Così come faremo anche noi a Damasco.
 
Siete pronti anche a morire, pur di non abbandonare la gente?
Questo è un obbligo morale, il pastore deve stare accanto al gregge, non può fuggire quando arrivano i lupi. Abbiamo l’esempio dei santi martiri di Damasco: ecco, il cristiano deve essere pronto a dare la propria testimonianza anche con la vita. 
 
Aleppo è in preda a caos, a Damasco invece percepite che sta per accadere qualcosa?
Al momento Damasco è più tranquilla, alcuni stanno partendo da Aleppo verso Damasco in autobus con viaggi organizzati dall’ONU. Segno che per ora la capitale è una zona abbastanza sicura.
 
Il Papa però parla di terza guerra mondiale, anche all’Angelus ieri mattina ha ricordato la Siria…
Il fuoco si estende! Una delle cause di questa presa di Aleppo mi sembra che sia la guerra tra Israele e Hamas e quella tra Israele ed Hezbollah. Questi gruppi armati hanno colto un momento di debolezza del regime siriano sostenuto da Hezbollah, in un momento in cui il gruppo sciita è debole, l’Iran è pure indebolito, così come la Russia impegnata sul fronte ucraino. Penso sia tutto interconnesso. Pagheremo tutti col tempo il conto di queste cose. 

A farne le spese è la gente, di cosa avete bisogno?
La popolazione ha bisogno di tutto, l’unico desiderio che hanno i giovani è di lasciare la Siria. Hanno perso la speranza perché non si vede ricostruzione, non si vede avvenire economico, sta per esplodere la bomba della povertà. E la gente non vede altra uscita che emigrare in Europa, in Canada, in Australia.
 
Cosa vi aspettate dalla comunità internazionale?
Io avrei una critica alla comunità internazionale, perché adesso stiamo lavorando per raccogliere i cocci di questo vaso rotto. Bisognerebbe fare molto di più per prevenire i conflitti. Le guerre che stiamo vivendo, come in Medio Oriente o in Ucraina, erano prevedibili. E poi bisognerebbe tentare vie nuove, alle volte arrivare a certi compromessi e salvare il salvabile. Mettersi dalla parte della popolazione. Penso al tema delicato delle sanzioni: più che i regimi autoritari è il popolo che paga il conto! Questo mezzo di ritorsione andrebbe ripensato.
 
Che appello si sente di fare?
Non dimenticate la Siria! Era stata dimenticata in questi ultimi due/tre anni, non faceva parlare di sè. Adesso è sulle principali testate internazionali per la situazione ad Aleppo. Non abbandonatela, soprattutto in questo periodo d’Avvento in cui ci avviciniamo al Natale e la solidarietà può fare la differenza.

(Articolo pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano Il Giornale)