La questione è molto semplice: con una “testimonianza” lunga dieci pagine, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti che con una sua lettera riservata al Papa, nel 2011, aveva “ispirato” il primo Vatileaks, si riprende la scena e oggi accusa mezza Curia (della nuova e della vecchia guardia) di aver coperto le schifezze del cardinale americano Theodore McCarrick. Non solo: Viganò spara davvero in alto e, oltre ad accusare i principali collaboratori presenti e passati degli ultimi tre papi, rivela: “Avevo informato Papa Francesco nel 2013 del dossier su McCarrick, ma lui cambiò discorso: adesso sia il primo a dare il buon esempio a cardinali e vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro”.
L’obiettivo è chiaro: Bergoglio se ne vada. E questa volta a chiederne la testa è un diplomatico di peso della Santa Sede. Clamoroso. Ma che dietro a Viganò ci sia una cordata di ecclesiastici (americani e non, legati molto alla tradizione) intenzionati a far dimettere Francesco, non c’è alcun dubbio. L’arcivescovo, dopotutto, è solo una piccola pedina del sistema che già da qualche mese si è rimesso in moto per preparare un dopo Francesco, aprendo la strada a un Pontefice ben più conservatore di Bergoglio. Il nunzio, peraltro, ha proprio il profilo adatto per compiere una mossa così eclatante. Se l’obiettivo oggi è “Bergoglio se ne vada”, per l’arcivescovo non può che essere una campagna in linea col suo pensiero, considerato che diversi mesi fa, fu Francesco a dire “Viganò se ne vada”.
Spieghiamo meglio: dopo il ritorno dagli Stati Uniti, nel 2016, l’arcivescovo si era trasferito nel suo appartamento all’interno della Città del Vaticano. Appartamento che durante il servizio diplomatico all’estero non aveva lasciato ad un altro inquilino (come avrebbe dovuto) ma che era riuscito a tenere in suo possesso, come scrivevo già nel 2013 sul quotidiano “Il Giornale” (leggi QUI) . Qualche mese fa però Bergoglio gli ha dato il foglio di via definitivo. Non solo dalla Città del Vaticano. L’APSA (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) il dicastero che gestisce tutti gli immobili della Santa Sede, aveva trovato per l’ex nunzio una nuova sistemazione a Roma, nella struttura dove vivono gli altri nunzi apostolici a riposo. Ma Francesco aveva fatto sapere che sarebbe stato meglio per lui un rientro nella diocesi d’appartenenza (il monsignore è di Varese). I meglio informati sanno quanto Viganò ci sia rimasto male, anche perché, già dai tempi del primo Vatileaks, Carlo Maria sognava, non è un mistero, una carriera in Curia: pur di non andare negli Stati Uniti come nunzio apostolico, nel 2011, aveva addirittura inventato la scusa di dover accudire il fratello gravemente ammalato. Fratello che però non sentiva più da diversi anni, a seguito di un brutto litigio per l’eredità di famiglia. Nel suo cuore c’era l’ambizione di diventare Presidente del Governatorato Vaticano con la nomina a cardinale di Santa Romana Chiesa. Non ha avuto né l’una, né l’altra, soprattutto per volere di Bergoglio. Anche per queste cose l’arcivescovo nutre ancora, e lo confermano in tanti (troppi), rancore e risentimento nei confronti di tanti uomini di Curia (che oggi accusa d’insabbiamento) e del Pontefice stesso, principale artefice della sua “cacciata” dalla Città del Vaticano.
E infine il metodo: monsignor Viganò non ha protestato in privato, non ha insistito, chiedendo nuove udienze al Papa per discutere del caso McCarrick. Ha invece dato tutto alla stampa (la pubblicazione è del quotidiano “La Verità”), per far esplodere la bomba, citando cardinali e vescovi e accusandone altri anche di omosessualità. Non si può dire che abbia calcolato i tempi per colpire il Papa durante il viaggio in Irlanda (la lettera è datata 22 agosto) ma al posto suo ci ha pensato qualcun altro che di veleni ad orologeria se ne intende. Di certo c’è, però, che se come dice Viganò, Papa Francesco è colpevole d’insabbiamento (attendiamo notizie e sviluppi), lui è colpevole allo stesso modo: monsignor Carlo Maria ha taciuto sulla faccenda per cinque lunghi anni, non ha aperto bocca fino ad oggi, ma ha atteso pazientemente che esplodesse lo scandalo negli Stati Uniti per infierire sul Pontefice, chiedendone anche le dimissioni. Non sembra essere, la sua, una testimonianza del tutto disinteressata.