Un’abitazione di lusso all’interno della Città del Vaticano, ma senza un inquilino. Sta creando malumori tra vescovi e cardinali una nuova vicenda che vede come protagonista Monsignor Carlo Maria Viganò, ex segretario generale del Governatorato Vaticano, dal 19 ottobre 2011 nunzio apostolico negli Usa.
L’arcivescovo varesino, salito alla ribalta delle cronache internazionali per la pubblicazione delle sue lettere a Benedetto XVI in cui denunciava casi di corruzione dentro le mura leonine, nonostante viva ormai da quasi due anni a Washington, avrebbe a disposizione dentro la Santa Sede (dove il prelato non ha più incarichi) anche un mega appartamento di circa 250 metri quadri situato a pochi passi dall’albergo «Santa Marta» dove il Papa ha deciso di continuare a vivere.
Si tratta della stessa casa dove il monsignore 72enne abitava mentre ricopriva l’incarico di segretario generale, quando cioè teneva in mano le chiavi delle casseforti della piccola città-stato. Promosso nunzio apostolico però, l’arcivescovo moralizzatore avrebbe chiesto e ottenuto, grazie all’appoggio di alcuni alti prelati, di poter tenere a disposizione la casa, senza pagare l’affitto.
«Uno scandalo, molti ecclesiastici che avrebbero diritto a un’abitazione vivono fuori dal Vaticano, anche a proprie spese» commentano dentro le sacre mura; Viganò è infatti l’unico «ambasciatore» d’Oltretevere che gode di questo privilegio, con una casa inutilizzata più grande anche dell’appartamento papale di Castel Gandolfo (la residenza dove sta trascorrendo questi mesi di «clausura» Benedetto XVI è, infatti, di 230 mq su due piani).
Una vicenda che, vista la nuova ventata pauperistica portata da Papa Francesco, potrebbe creare non pochi problemi al monsignore, considerato da molti «il volto pulito della Santa Sede», ma che invece avrebbe approfittato di amicizie e favori per mantenere sotto il proprio controllo l’alloggio dentro al Vaticano.
Viganò sperava, infatti, di rimanere nei Sacri Palazzi e ottenere (come gli sarebbe stato promesso) la nomina cardinalizia, per poter così succedere, quando sarebbe andato in pensione, al presidente del Governatorato, il Card. Giovanni Lajolo. Ipotesi però sfumata, tanto che l’arcivescovo aveva considerato la promozione a Washington un vero e proprio allontanamento: in una lettera a Ratzinger datata 7 luglio 2011 il prelato diceva al Pontefice di essere «addolorato nel sapere che Vostra Santità condivide il giudizio sul mio operato, cioè che io sarei colpevole di aver creato un clima negativo al Governatorato, rendendo sempre più difficili le relazioni tra la Segreteria generale e i responsabili degli uffici».
Storia che non ha risparmiato colpi di scena e malumori come per il caso dell’abitazione in Vaticano; l’ennesima bufera sul monsignore che arriva dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del fratello dell’arcivescovo, Don Lorenzo Viganò.
In una delle lettere al Pontefice, l’ex segretario generale, chiedeva a Benedetto XVI di poter rinviare il suo trasferimento a Washington anche per potersi prendere cura del fratello sacerdote più anziano, «rimasto gravemente offeso da un ictus che lo sta progressivamente debilitando anche mentalmente». Motivazione seccamente smentita però dal diretto interessato: monsignor Viganò ha confermato che all’epoca viveva già negli Stati Uniti e che non aveva da anni più rapporti con il fratello arcivescovo che, per questioni di eredità, aveva anche denunciato la sorella Rosanna.
(articolo scritto per Il Giornale)