Sono stati bollati come criminali e illegali e per questo li hanno sbattuti in cella, per la loro fede cattolica. In Cina non c’è pace per quella Chiesa ancora sommersa, clandestina, riconosciuta dal Vaticano, ma che non ha accettato di emergere per esser riconosciuta anche da Pechino.
Come riferisce il portale AsiaNews, in soli due giorni quasi tutto il personale ecclesiastico della prefettura apostolica di Xinxiang (eretta nel 1936 da Papa Pio XI) è stato praticamente azzerato con un’operazione di polizia che ha visto impiegati almeno 100 uomini: in manette sono finiti il vescovo, monsignor Joseph Zhang Weizhu, nominato da San Giovanni Paolo II nel 1998 alla guida della prefettura apostolica che conta 100mila fedeli, sette preti e dieci seminaristi. Il vescovo si trova adesso ai domiciliari, i sacerdoti sono stati arrestati all’interno di una fabbrica, adibita a seminario, di proprietà di un uomo cattolico, anche lui portato via: la polizia è entrata nell’edificio e ha fermato tutti i presenti perché considerati dei fuorilegge. Secondo l’accordo biennale Santa Sede-Cina, rinnovato di recente, infatti, si è trovata un’intesa soltanto per l’erezione di nuove diocesi e la nomina dei nuovi vescovi; per quelli rimasti in clandestinità, che rimanendo fedeli al Papa non hanno accettato di avere un riconoscimento governativo, come monsignor Zhang Weizhu, invece, tutto sarebbe dovuto rimanere in stand-by in attesa di nuovi sviluppi nel dialogo tra le parti.
Così non è stato: oltre agli arresti, la polizia è a caccia di altri seminaristi che sarebbero riusciti a fuggire dal blitz della polizia. Le forze dell’ordine, secondo le notizie riportate dal portale diretto da padre Bernardo Cervellera, stanno andando di casa in casa alla ricerca degli altri studenti cattolici, multando i fedeli che hanno in casa segni riconducibili alla fede cattolica (croci, statue, immagini sacre e foto del Papa) e sequestrando o distruggendo gli oggetti scoperti.
“Siamo molto amareggiati” spiega a Il Giornale un sacerdote cinese originario della prefettura di Xinxiang che chiede di rimanere anonimo per questioni di sicurezza, “c’è un dialogo in corso tra il Vaticano e il governo e tentare di spezzare in questo modo violento la fede in Gesù Cristo credo sia l’opposto di ciò che chiede e desidera Papa Francesco e le autorità vaticane che hanno lavorato al negoziato. Le autorità cinesi dovrebbero in qualche modo trovare una mediazione anziché impiegare plotoni di poliziotti come se dovessero combattere contro dei delinquenti. Questa è una persecuzione!”.
Tanti, in effetti, parlano di accordo tra Vaticano e Cina che è stato tradito dalle autorità di Pechino. E tutto a pochi giorni dalla nomina da parte di Papa Francesco del nuovo vescovo di Hong Kong, il gesuita monsignor Stephen Chow Sau-yan che, da vero uomo del dialogo, potrebbe avere una linea più morbida verso Pechino, al contrario del suo predecessore, il cardinale salesiano Joseph Zen che da anni critica le autorità vaticane per esser “scese a compromessi” con il governo cinese, colpevole a dire del porporato molto attivo sui social, di continue persecuzioni ai danni della Chiesa e dei fedeli cattolici.
Qualche tensione con la Santa Sede si era registrata anche lo scorso novembre 2020, a un mese dal rinnovo dell’accordo biennale provvisorio, quando Papa Francesco, parlando in un libro della minoranza musulmana uigura della regione autonoma dello Xinjiang, l’aveva definita un popolo “perseguitato”. Parole che avevano subito scatenato una reazione del Ministero degli Esteri di Pechino definendole “prive di fondamento”. Una reazione contenuta ma che di certo, insieme agli ultimi arresti, allontana ancor di più il sogno di Francesco di visitare finalmente la terra del Dragone.
(Articolo pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano “Il Giornale”)