Il 19 ottobre prossimo Paolo VI diventerà beato. In questa intervista Mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense ricorda Papa Montini, “teologo della testimonianza”. Il vescovo salesiano (in quanto postulatore) fa anche il punto sulla causa di beatificazione di Papa Luciani.
Eccellenza come ha conosciuto Paolo VI?
L’ho conosciuto quando era Arcivescovo di Milano. La mia famiglia si era trasferita dal Veneto nell’ottobre del 1958. Il mio papà era magistrato, e noi seguivamo i suoi spostamenti d’ufficio. Io sono l’ultimo di dieci fratelli, cinque maschi e cinque femmine per la “par condicio” in famiglia. Tutti noi maschi fummo iscritti al Leone XIII dei Gesuiti. La parrocchia era invece quella dei Carmelitani, del Corpus Domini. Ricordo molto bene sia la visita di Montini alla parrocchia, sia la le sue frequenti visite al Leone XIII, perché lì c’era anche un suo vecchio professore gesuita, che gli aveva insegnato scienze a Brescia. Naturalmente una famiglia di dieci figli, come la nostra, non poteva passare inosservata all’occhio sensibile e attento di un pastore come lui. Io ero ancora piccolino (avevo appena otto anni), ma la sua predicazione era così intensa ed efficace che affascinava tutti, grandi e piccoli. Ricordo anche quel giorno in cui andai a salutarlo, prima che partisse per il Conclave del 1963. Mi vide, nel passaggio dal Duomo all’Arcivescovado. Mi fermò, e mi chiese: “Ma tu… come ti chiami?”. E io gli risposi: “Enrico… Enrico Paolo, Eminenza”. “Paolo?”, chiese lui, quasi incredulo. “Sì, è il mio secondo nome”, gli dissi. Ed era vero. Rimase pensieroso.
La prima enciclica di Papa Montini fu “Ecclesiam Suam”, lettera ancora oggi di grandissima attualità, soprattutto per quanto riguarda il dialogo ecumenico. Pensa che Papa Francesco su questo tema si ispiri anche a Paolo VI?
L'”Ecclesiam Suam” è la chiave ermeneutica del Concilio Vaticano II. E’ l’Enciclica del dialogo, all’interno e all’esterno della Chiesa. Vi vengono tracciati i vari cerchi del dialogo (ovviamente, Gesù Cristo rimane al centro di tutti). E’ interessante notare che i viaggi di Paolo VI – che, nella loro novità, assumevano un profondo valore simbolico – non facevano altro che rimarcare questi medesimi cerchi del dialogo interreligioso e interculturale: dalla Terra Santa all’India, dalla Turchia alle Nazioni Unite, da Ginevra all’Africa, all’Asia Orientale, all’Oceania e all’Australia… E’ evidente che l’azione pastorale di Papa Francesco si ispira anche a Paolo VI, che è citato esplicitamente quindici volte nell'”Evangelii Gaudium”.
Secondo Lei Montini è un “Papa dimenticato”, come lo hanno definito tanti in questi anni?
Non direi proprio. Ho partecipato – per la benevolenza di papa Benedetto – al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Si può dire che l’Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI era come la “magna charta”, il punto di riferimento di ogni riflessione! Proprio a partire da Paolo VI si è sviluppata nella Chiesa una vera e propria “teologia della testimonianza”. Quasi tutti conoscono una frase, giustamente famosa, di papa Montini. Dice più o meno così: “Gli uomini e le donne di oggi ascoltano più volentieri i testimoni dei maestri, o – se ascoltano i maestri – lo fanno perché sono dei testimoni”. Ma sono pochi a sapere quando questa frase venne pronunciata per la prima vota. Paolo VI la pronunciò sull’onda di una forte emozione, Era venuto a trovarlo il rappresentante del Laos, Paese esposto in quegli anni a molte attenzioni interessate da parte delle superpotenze. Il rappresentante era un monaco buddista. Il bonzo si presentò con la testa tutta rasata, avvolto nel saio tradizionale. Narrò al papa la situazione del suo paese. “Santità”, gli disse, “vengono da noi gli americani, e ci propongono le tecnologie più avanzate; vengono i russi, e ci promettono le armi; vengono i tedeschi, e ci propongono i soldi… Ma se voi, Santità, ci mandaste un Francesco d’Assisi, noi ci convertiremmo tutti!”. Paolo VI rimase profondamente scosso da questa testimonianza – così mi ha raccontato il segretario particolare, mons. Pasquale Macchi -; e uscendo dall’udienza mormorò quella frase famosa. Certo, un Francesco d’Assisi converte tutti. Ma ancor oggi la testimonianza di santità di Paolo VI, per nulla dimenticata, edifica la Chiesa e il mondo.
Quale fu il rapporto di Montini con l’Università Lateranense, di cui Lei oggi è Rettore?
Fu un rapporto molto stretto, a cominciare dal fatto – e mi fermo solo su questo – che egli fu studente, e poi professore, del Laterano nell’antica sua sede dell’Apollinare. Il 3 luglio 1924, a 27 anni, Montini vi coronò il suo prestigioso “curriculum studiorum” con una terza laurea, quella in Diritto Civile, conseguita presso l’Istituto Giuridico Lateranense. Tra i Professori della Commissione Esaminatrice troviamo nomi illustri, come quelli dei futuri cardinali Larraona e Ottaviani. Più tardi, fra il 1930 e il 1937, egli fu professore di Storia della Diplomazia Pontificia nell’Institutum Utriusque Iuris. Svolse tale incarico con competenza e con un seguito entusiastico da parte degli studenti. Era Rettore Magnifico lo storico mons. Pio Paschini, a cui Montini rimase legato da stretti vincoli di amicizia.
Paolo VI lo ricordiamo anche nei giorni del rapimento di Aldo Moro. Con tutte le sue forze lanciò appelli per la liberazione e tentò una mediazione. Molti di parlano di “fallimento”, di “schiaffo a Paolo VI”. Pensa che le cose sarebbero potute andare diversamente?
Non sono in grado di giudicare. Posso dire che Montini era uomo di amicizie intense, profonde, sincere, e quella con Aldo Moro fu certamente un’amicizia privilegiata. Lo attesta nel modo più chiaro la commovente preghiera del 13 maggio 1978, scandita da quello straziante: “Signore, ascoltaci!”. Del resto, contrariamente a ciò che molti affermano, nella valutazione delle realtà politiche Paolo VI ha sempre conservato un inguaribile ottimismo, alimentato dalla fede. Nell’ottantesimo anniversario della “Rerum Novarum”, Montini si interrogava così, nella sua “Octogesima Adveniens”: “La nascita di una civiltà urbana non è un vera sfida alla saggezza dell’uomo, alla sua capacità organizzativa, alla sua immaginazione rispetto al futuro?”. Ebbene, proseguiva Paolo VI, ” che i cristiani, coscienti di queste nuove responsabilità, non perdano coraggio davanti all’immensità della città senza volto, ma si ricordino del profeta Giona, il quale percorse in lungo e in largo Ninive, la grande città, per annunciarvi la buona novella della misericordia divina. Nella Bibbia la città è sovente il luogo del peccato e dell’orgoglio…, ma città è anche Gerusalemme, la città santa, il luogo dell’incontro con Dio, la promessa della città che scende dall’alto”.
A proposito di beatificazioni, Lei è il postulatore della causa di Papa Luciani. A che punto è il processo?
E’ stato raccolto ormai tutto il materiale per la definitiva consegna della “Positio” al Relatore generale della Congregazione delle Cause dei Santi, padre Vincenzo Criscuolo. Siamo dunque agli sgoccioli… Verranno stampati due grossi volumi, rilegati in tela rossa, che documenteranno al meglio l’eroicità della vita e delle virtù di Giovanni Paolo I, Albino Luciani.
Ha avuto modo di parlarne di recente con Papa Francesco?
Non ancora. Mi riservo di farlo alla prima occasione.