Il pedofilo fuori dalla Chiesa. Parola del “giudice supremo”

Papa Francesco fa sul serio. Nonostante le accuse e le polemiche delle ultime settimane a seguito del dossier di monsignor Carlo Maria Viganò sul tema delle molestie, nei giorni scorsi il Pontefice ha voluto lanciare un segnale molto forte contro i preti che si macchiano del delitto della pedofilia.

Il caso arriva dal Cile, è quello di don Cristian Precht, 77 anni, prete-eroe anti Pinochet, accusato di aver abusato di minorenni e maggiorenni tra il 1970 e il 2000. Il dossier, l’ennesimo, era finito sulla scrivania del Papa a Casa Santa Marta, e così Francesco, dopo essersi consultato con il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha deciso di “dimettere dallo stato clericale” il sacerdote in questione. Lo ha praticamente cacciato dalla Chiesa cattolica, senza possibilità di appello.

E qui c’è la “novità”: contrariamente a quanto accaduto fino ad oggi con altri casi di pedofilia, Bergoglio, questa volta, ha voluto prendere un’iniziativa che non era più in uso dal 1964 con Paolo VI. Il Pontefice ha decretato, infatti, la sua decisione contro Precht usando la formula “ex officio et pro bono Ecclesiae”: in pratica in veste di giudice supremo, per il bene della Chiesa, ha deciso d’ufficio che il sacerdote cileno è fuori dalla Chiesa. E non avrà alcuna possibilità di appellarsi. Non potrà ricorrere in alcun modo. Sarà inutile rivolgersi alle congregazioni vaticane o ai tribunali.

L’ex prete cileno è, tra le altre cose, sotto inchiesta della procura di Santiago del Cile. Ma Francesco non ha atteso una sentenza dei tribunali civili. Ha preso la sua iniziativa senza perder altro tempo. Una decisione del genere non si vedeva da tempo: fino alla metà degli anni Sessanta questa formula latina era ad uso esclusivo dei frati domenicani della santa inquisizione, delegati sin dal tredicesimo secolo a svolgere, appunto in nome dei Papi, il “Sant’Ufficio”. Poi Papa Montini aveva deciso di avocare a sé, e quindi ai suoi successori, quel potere che da allora però non è più stato utilizzato. Nemmeno nel caso di monsignor Lefebvre, il vescovo scismatico fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Un segnale molto forte che oggi Francesco invece vuol mandare al mondo cattolico per portare avanti quella battaglia sempre più dura contro la piaga della pedofilia nella Chiesa. E non è tutto. Nel corso dell’ultima riunione del C9, il consiglio dei cardinali che aiuta il Papa per il governo della Chiesa e per le riforme, Francesco ha già dettato la linea per passare a una “fase due”: dopo la chiusura della nuova costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” (che sarà consegnata al Pontefice per le correzioni) Bergoglio ha chiesto ai suoi fedelissimi di potersi concentrare su una revisione totale del codice di diritto canonico. “Così com’è è troppo obsoleto”, ha detto il Papa nel corso di una degli incontri di settembre.

Il codice è fermo, infatti, al 1983 e Francesco ha chiesto che sia rivisto e in alcuni casi ampliato. Bergoglio, in quest’ultimo caso, si riferiva in particolare ai volumi intitolati “De processibus”, quelli riguardanti appunto i processi ecclesiastici, inclusi quelli contro i preti pedofili. La normativa fino ad oggi è stata definita, infatti, troppo scarna, piena di incongruenze a causa dei tagli che furono operati, poche ore prima della promulgazione, da una “commissio parva” di curiali guidati dal cardinale Vincenzo Fagiolo. Il codice di Giovanni Paolo II si è rivelato, in effetti, quasi del tutto carente di norme procedurali e attuative, cosa che ha reso i processi canonici (da quelli amministrativi a quelli penali) dei veri e propri rebus macchinosi difficili da risolvere anche dai più esperti in materia.

(Articolo pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano Il Giornale)