Il virus e la Sapienza della Croce

“Il virus non guarda in faccia a nessuno, la pandemia necessita della solidarietà e la Croce è segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità”. Parola di padre Ciro Benedettini, primo consultore della Congregazione dei Passionisti che quest’anno festeggia i 300 anni dalla fondazione. Qualche giorno fa si è chiuso il quarto Congresso Teologico Internazionale organizzato dai frati passionisti che insieme a studiosi provenienti da tutto il mondo si sono interrogati sulla Sapienza della Croce, affrontando quattro traiettorie: le sfide delle culture, la promozione dell’umanesimo e del dialogo interreligioso, i nuovi scenari dell’evangelizzazione e il carisma di San Paolo della Croce per il presente e il futuro del mondo.

Padre Benedettini, si è concluso il Congresso Teologico Internazionale che avete organizzato alla Pontificia Università Lateranense. Quale insegnamento, quale messaggio rimane da questo evento?
Il Congresso “La Sapienza della Croce in un mondo plurale” si è tenuto dal 21 al 24 settembre alla Pontifica Università Lateranense, in presenza e in remoto, con streaming in inglese, spagnolo e italiano. In presenza ci sono stati fra i 150 e i 220 partecipanti, fra 4.000 a 5.000 in remoto. Non poco per un congresso di nicchia riservato a studiosi. Il messaggio è stato una conferma, con più forti motivazioni bibliche e sociologiche, della centralità e insostituibilità della Croce per il cristianesimo. La Croce è la prova suprema di amore di Dio per l’umanità e certezza di risurrezione, di vittoria finale dell’amore. La Croce, apparente debolezza e follia, è sapienza e potenza di Dio, cioè salvezza dell’uomo. Una teologa portoghese ha presentato la Croce di Cristo come “l’osservatorio” da cui guardare i molteplici problemi delle nostre società multietniche e multiculturali e trovare incentivi per il dialogo e l’incontro e per lavorare insieme per salvaguardare l’uomo e la sua casa, il pianeta Terra.

Perché questa centralità?
Perché Gesù ha trasformato il più crudele dei supplizi inventati dall’uomo nella prova concreta, più credibile e convincente, di amore per l’umanità, come aveva preannunciato: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per l’amico” (Gv 15,13). Di più, perché la croce contiene in sé la risurrezione, la certezza della vittoria finale dell’amore e della vita.

Padre Ciro Benedettini

Papa Francesco nel messaggio che vi ha inviato dice “mai smettere di guardare alla croce come fonte di salvezza per l’uomo di ogni luogo e di ogni tempo”. Nel mondo di oggi segnato dal Covid quanto sono importanti le sue parole?
Sono molte le proposte salvifiche che vengono proposte all’uomo contemporaneo (religiose, filosofiche, di wellness), ma tutte cozzano contro l’inevitabilità della sofferenza, l’esperienza del fallimento, della morte. Gesù dalla Croce non cancella il dolore e la morte ma dà loro un senso, trasformandolo in un atto d’amore e lotta. Sembra paradossale, ma Gesù considera la sua maggiore capacità di attrazione non mediante i miracoli, ma attraverso la sua crocifissione: “Quando sarò elevato da terra attriterò tutti a me” (Gv 31.32). La salvezza viene dalla Croce. La pandemia manifesta da una parte la fragilità dell’uomo e necessità della solidarietà: ci si salva non individualmente ma tutti assieme. La Croce è segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità e dell’esigenza della solidarietà fra di noi. Il virus non guarda in faccia al colore del volto o ai confini politici. Siamo tutti ugualmente vulnerabili e solo salvando gli altri possiamo salvare noi stessi. Questo è anche il messaggio che parte dalla Croce.

Anche il vostro padre generale ha richiamato l’attenzione su questo tema dicendo che la risposta al pluralismo sta nel dialogo che si impara dalla croce, che non è semplice tolleranza, ma incontro e armonia delle differenze. Queste parole, in una società toccata da un sempre maggiore razzismo e diffidenza verso lo straniero, come possono essere utili e che insegnamento possono
Il pluralismo diventa ricchezza quando c’è rispetto e dialogo, ascolto senza la pretesa di conquistare l’altro. La croce non è monopolio dei cristiani, è di tutti. Gesù muore per tutti, accoglie sulla Croce in paradiso il ladro pentito, perdona i suoi crocifissori. Non c’è nulla nel Crocifisso che discrimina, che separa, che “scarta”. Il suo messaggio centrale è quello dell’amore al prossimo allineato in tutto all’amore a Dio, quasi parificando la dignità di ogni uomo e donna a quella stessa di Dio. Il Crocifisso è l’emblema della solidarietà, non cerca vendetta, dona la vita per tutti, buoni e cattivi, insegnando che il vero significato della vita è farsi dono e non usare o sottomettere l’altro ai propri interessi. Il Crocifisso è un grido di condanna contro ogni violenza, ingiustizia, sopraffazione mostrando con la risurrezione il destino fallimentare di ogni azione contro la dignità della persona.

Il congresso cade in questo anno in cui festeggiate il vostro giubileo, per i 300 anni di fondazione della congregazione dei passionisti. Chi sono i passionisti oggi, 300 anni dopo?
Sì, 300 anni fa, un giovane ventiseienne lombardo, Paolo Danei (poi Paolo della Croce), lasciò il commercio e la famiglia, si rivestito d’un abito di penitenza, si chiuse in ritiro in un ripostiglio di una chiesa per 40 giorni (22 novembre 1720 -1° gennaio 1721) e lì scrisse le prime Regole della Congregazione. I passionisti sono missionari (in patria e all’estero) con il compito di “far memoria della Passione del Signore” presentata come la prova “più grande e stupenda dell’amore di Dio” (san Paolo della Croce). In definitiva i passionisti annunciano e testimoniano con la loro vita l’amore di Dio per l’umanità e l’esigenza della risposta dell’uomo con l’amore al prossimo, chiunque esso sia. Di conseguenza annunciano la risurrezione, cioè la vittoria finale dell’amore, nonostante le apparenze. La Passione di Gesù non è terminata 2000 anni fa, con la morte in Croce, continua nelle sofferenze dell’umanità, dei “crocifissi del nostro tempo”, quelli che Papa Francesco chiama gli “scartati”, i poveri, gli ammalati, i perseguitati, rifugiati, che non trovano un senso nella vita. Quello che è fatto all’altro è fatto a Dio stesso.

Un giovane che ha la vocazione cosa può trovare nel carisma dei passionisti?
Deve sentirsi interiormente chiamato, desideroso, non solo di essere un buon cristiano ma di far conoscere l’amore di Cristo e a questo scopo voler dedicare la propria vita. Il giovane trova nella Congregazione gli aiuti spirituali e materiali più idonei per vivere e sviluppare la sua vocazione e realizzarsi. Trova soprattutto la gioia della vita comunitaria, che per i Passionisti è la prima forma di apostolato perché conferma la verità del grande comandamento di Dio: ama il prossimo tuo come ste stesso.