Monsignor Visvaldas Kulbokas è il nunzio apostolico in Ucraina, l’ambasciatore del Papa in quella terra colpita dalla guerra. Risponde da Kiev e racconta a Il Giornale l’inferno in cui sta vivendo, in un Paese “martoriato dalle bombe e dalla follia umana”.
Eccellenza, è ancora sicuro di voler rimanere a Kiev?
Assolutamente sì, non lascio Kiev perché oltre ad essere ambasciatore, sono vescovo e sono il rappresentante del Papa presso il popolo. Il popolo è qui e io devo rimanere. Ma non sono un supereroe: anche ieri pomeriggio abbiamo chiesto a un sacerdote che vive in un quartiere più esposto di trasferirsi qui in nunziatura perché siamo in una zona un po’ più calma, ma lui ha detto di no, ha risposto: “Il mio popolo è qui, non lo lascio”.
Questo popolo sta soffrendo: un milione vive già senza gas e senza luce, com’è la situazione?
E’ un dramma enorme, tanti sobborghi o intere città sono senza elettricità, senza riscaldamento. Qualche giorno fa un orfanotrofio a 30 km da qui è stato evacuato: bambini tra i 3 e i 5 anni sono senza niente, al freddo, che qui è davvero significativo. E poi la mancanza di cibo e di acqua: è terribile!
Il Papa all’Angelus ha usato un tono molto forte e ha detto: “In nome di Dio, fermate questo massacro”…
Non si riesce a capire davvero il senso di tutto questo: perché dobbiamo vedere tutta questa gente soffrire e morire? Bambini, mamme, anziani! Quando succede a causa di un cataclisma allora si può comprendere, perché l’uomo non poteva far nulla. Ma se tutto ciò accade per decisioni umane, allora non c’è più una spiegazione e si rimane sconcertati vedendo tanto dolore. E’ nostro dovere stare vicini a questa sofferenza, perché fa parte della missione della Chiesa. E’ una forte esperienza spirituale. Per l’Ucraina è l’ora del martirio, ma sappiate che questo purifica, unisce, consolida il popolo e getta il seme di una luce forte per il futuro.
Crede a questi negoziati tra Russia e Ucraina?
Purtroppo noto che in questo momento è come se un Paese avesse diritto a certe cose e l’altro no. Umanamente non riesco a capire perché ci sia questa differenza. Anche i negoziati richiedono tanta preghiera, tanta luce spirituale perché non siano negoziati semplicemente politici. Se si rimane su posizioni politiche è difficile uscire e trovare soluzioni: ci vuole cuore e attenzione umana verso l’altro, rispetto e ascolto. Non basta che questo lavoro lo facciano i politici! E’ proprio qui che la preghiera della Chiesa può agire, per dare a tutti una visione più larga, di umanità.
Non a caso il Papa, sempre ieri mattina ha chiesto che i corridoi umanitari siano “effettivi e sicuri”…
Diversi volontari hanno perso la vita cercando di aiutare la gente nelle città o evacuandole. Questo è un grande rischio. I volontari vanno a recuperare la gente o vanno a portare alimenti e muoiono. Non è sufficiente che i corridoi umanitari siano solo annunciati, ha ragione il Papa: devono essere sicuri!
Qualcuno, anche tra i cristiani, ha parlato di guerra giusta…
Bisogna condannare la guerra e la violenza, sempre! Se questo conflitto è iniziato è perché qualcuno ha portato delle argomentazioni che però non stanno in piedi. Nessuna motivazione può giustificare una guerra con migliaia di civili morti, con centinaia di bambini morti, con scuole e ospedali distrutti. Basta vedere questi fatti: la guerra comporta questo disastro, non può essere motivata e se non facciamo nulla per evitarla, allora stiamo profanando il nome di Dio!
(Intervista pubblicata nell’edizione odierna del quotidiano Il Giornale)