“I gay nella Chiesa sono un’eresia”

Un chiaro segnale di cambiamento, un preciso messaggio: il Papa vuol cambiare una volta per tutte la Curia romana. È questa la convinzione che regna Oltretevere all’indomani della pubblicazione su un sito web cileno della conversazione privata tra Francesco e un gruppo di religiosi sudamericani, nel corso della quale il Pontefice avrebbe ammesso anche l’esistenza in Vaticano di una lobby gay.

In serata era arrivata una precisazione dalla CLAR (la Confederazione Latinoamericana dei Religiosi) che ha condannato la pubblicazione della chiacchierata del Papa: «Non c’è alcuna registrazione di quell’incontro», hanno scritto, «quel testo è stato elaborato sulla base dei ricordi dei partecipanti». Quanto pubblicato sarebbe quindi autentico ma, proseguono i religiosi, «non si possono attribuire al Papa, con certezza, le espressioni singolari contenute nel testo, bensì solo il senso generale». Sta di fatto che Bergoglio ha toccato l’argomento con i confratelli, ignaro del fatto che da lì a poco quelle parole avrebbero fatto il giro del mondo.

«Non sono molto informato ma è una cosa tristissima» dice a Il Giornale il cardinale di Curia Georges Cottier, «Se il Papa ha detto davvero queste cose a quei religiosi è sicuramente per invitare a convertire quelle persone». Il porporato svizzero, già teologo della Casa Pontificia, continua: «All’interno della Chiesa, si sa che tra laici e sacerdoti ci sono dei peccatori; Francesco ci dice che dobbiamo aiutare quelli che peccano e fornire i mezzi spirituali per evitare che i deboli cadano in tentazione: lui sin dall’inizio chiama i sacerdoti alla santità evangelica e se ha accennato a questi scandali, è perché vuole agire e salvare qualcuno dal peccato».

Ma il problema della lobby omosessuale nei sacri palazzi sarebbe solo la punta dell’iceberg: c’è chi è convinto che la grande sfida del nuovo Papa sia di affrontare l’argomento. Uno di questi è Don Dariusz Oko, professore di teologia all’Università Pontificia «Giovanni Paolo II» di Cracovia che a dicembre aveva denunciato pubblicamente la presenza della lobby gay in Vaticano e che oggi ribadisce: «Il Santo Padre ha confermato quello che tutti sanno da molti anni», spiega, «penso che si sia finalmente rotto quel muro di omertà che esiste da tempo. Ma ora, come rompere quell’altro muro di omertà che c’è dentro i seminari? Chi si preoccupa della rivoluzione di Benedetto XVI che ha vietato di ordinare dei preti omosessuali?».

Il sacerdote polacco è convinto che su quest’argomento il Papa abbia una grande battaglia da combattere: «Il problema della lobby gay in Vaticano è importante ma marginale», spiega, «La vera sfida del Pontefice è l’eresia dell’omosessualità, io la chiamo “omoeresia” (ovvero il rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull’omosessualità) i cui difensori sono a favore del sacerdozio per i gay. Il Santo Padre deve combattere questa eresia che si è diffusa per tutta la Chiesa». E le radici del problema, conferma Padre Oko, vanno ricercate nei luoghi di formazione: «Chi, in Italia, s’interessa della situazione attuale dei seminari?», si domanda il teologo, «È lì che si decide il futuro della Chiesa! L’unica via d’uscita è di continuare la rivoluzione di Ratzinger che ha voluto “liberare” i seminari da formatori gay e da seminaristi omosessuali».

Il prete di Cracovia, qualche giorno dopo la consegna della relazione sul Vatileaks a Papa Benedetto, aveva parlato di «metodi mafiosi» utilizzati da questa lobby omosessuale nella gestione di nomine e promozioni in Vaticano; oggi ribadisce il concetto e spiega perché l’omosessualità è inconciliabile con il sacerdozio. «È una questione che riguarda l’essenza del cattolicesimo», dice, «Sono importanti i problemi come gli abusi sui minori da parte di preti, oppure la lobby gay che condiziona la Chiesa. Ma la domanda cruciale riguarda la visione cattolica del sacerdozio e dei sacramenti. Se vogliamo salvare la teologia del sacerdozio fedele alla tradizione, allora i nostri preti devono essere maschi eterosessuali conformi a Cristo. In poche parole: ammettere o no agli ordini sacri dei candidati gay vuol dire porre la domanda se vogliamo salvare o meno la visione tradizionale cattolica del sacerdote che agisce in persona Christi».