Arriva l’ultima versione di Ali Agcà, il terrorista turco che il 13 maggio del 1981 sparò in piazza San Pietro a Giovanni Paolo II. In un libro edito da Chiarelettere (pag. 191, euro 12,90) intitolato “Mi avevano promesso il Paradiso”, l’ex Lupo Grigio racconta un’altra verità, l’ennesima sull’attentato che sconvolse il mondo. Ma a Stanze Vaticane – Tgcom24 arriva una prima smentita e oggi anche una nota di Padre Lombardi.
Questa volta non c’è di mezzo il KGB o la famosa pista bulgara, questa volta Agcà (che scrive il libro in prima persona) dice di voler dare la sua versione ultima. “Khomeyni mi ordinò di uccidere il Papa”, racconta il terrorista, che dice di essersi trasferito in Iran dopo esser fuggito dal carcere turco dov’era stato imprigionato per l’omicidio di un giornalista (il direttore del quotidiano liberale Milliyet). A Teheran Agcà dice di aver ricevuto addestramento e “indottrinamento” per diverse settimane. Infine racconta di un incontro notturno con l’ayatollah.
Il terrorista scrive: “Nella grande sala il silenzio è ostinato, duro. Hassan traduce parola dopo parola, ma a un certo punto smette. L’ayatollah, infatti, mi sta parlando in turco. «Mehmet Ali, tu devi uccidere il papa nel nome di Allah. Tu devi uccidere il portavoce del diavolo in terra, il vicario di Satana in questo mondo. Sia morte al capo degli ipocriti, alla guida degli infedeli. Sia morte a Giovanni Paolo II per mano tua. Non dubitare mai, abbi fede, uccidi per lui, uccidi l’Anticristo, uccidi senza pietà Giovanni Paolo II e poi tu stesso togliti la vita affinché la tentazione del tradimento non offuschi il tuo gesto»”.
Una versione finora inedita, trattata soltanto come ipotesi nel 2011, in un’intervista al mensile Jesus, dall’ex primo ministro polacco, il generale Wojciech Jaruzelski: “Forse non è un caso che Ali Agca fosse un cittadino turco, un musulmano, che in nome dell’ islam aveva già minacciato di uccidere Giovanni Paolo durante un viaggio in Turchia nel novembre 1979. Dietro di lui si muovevano fondamentalisti? Non lo sappiamo. Tuttavia, a posteriori, la pista islamica sembrerebbe la più logica”.
Nel volume Agcà torna a parlare anche di Emanuela Orlandi e dei “veri” motivi del rapimento. Anche in questo caso (dopo Banda della Magliana, Marcinkus, massoneria, pedofili, ecc.) arriva la pista islamica. Alì racconta di diverse lettere, in particolare di una (datata 19 agosto 1983) in cui si chiedeva la sua estradizione in Costa Rica o a Panama in cambio della liberazione di Emanuela. Perché il Costa Rica? Agcà spiega: “Il presidente del Costa Rica, Luis Alberto Monge Álvarez, dice di esser disposto ad ospitarmi. Lui esegue un ordine arrivatogli dall’Iran e precisamente da Khomeyni. È il governo iraniano a ordinargli di agire in questo modo. Nei piani di Teheran è un modo per pressare il Vaticano e ottenere finalmente la mia liberazione. Se vengo liberato e scortato in un paese amico, infatti, Teheran avrà la certezza che non parlerò”.
L’ex lupo grigio, che nel volume edito da Chiarelettere racconta tutta la sua vita, tira in ballo anche il giudice Ilario Martella, titolare della seconda istruttoria contro Agcà. In carcere nel 1983 il magistrato – scrive Ali – gli chiede: “Secondo lei è possibile che il rapimento di Emanuela Orlandi sia stato ordinato da qualche leader della religione islamica?». Che strana domanda. Che sia stato l’Islam a cercare di far fuori il papa è evidente che per il giudice non sia un dubbio, quanto un’ipotesi sostanzialmente verosimile. Da me vuole una confessione che però non avrà mai. Io, infatti, non sono ancora convinto di tradire Allah, di tradire il governo iraniano che mi ha allevato e invitato a uccidere. Cosa sa Martella? Sa forse di Khomeyni? Sa che è stato l’Iran a lavorare per il sequestro della Orlandi?”.
Ma questo colloquio in carcere viene categoricamente smentito dal diretto interessato, il giudice Ilario Martella, che a Stanze Vaticane – Tgcom24 dice: “E’ la prima volta che sento questa storia della pista islamica. Mai sentita in vita mia, non gli ho mai fatto domande simili!”
Nel libro Agcà parla anche del suo incontro in carcere, il 27 dicembre 1983, con Papa Giovanni Paolo II e rivela per la prima volta cosa si dissero pontefice e attentatore in quei minuti diventati storia: “«Chi ti ha mandato a uccidermi?» chiede il Papa – istintivamente mi ritraggo. Non voglio rinnegare l’Iran e la causa islamica. Il papa intuisce il mio disagio e dice: «Ti do la mia parola d’onore che quanto mi dirai resterà per sempre un segreto fra me e te». Capisco che è sincero. Non dubito di lui. «Sono stati Khomeyni e il governo iraniano a ordinarmi di ucciderti.» Lo vedo subito, il papa è scosso. Ma nello stesso tempo non è meravigliato. È come se in qualche modo già sapesse qualcosa, o che prima di venire da me abbia già vagliato come possibile questa ipotesi. Immediatamente dice: «Come perdono te così perdono anche loro»”.
All’indomani della pubblicazione del libro, arriva una prima reazione da parte della Santa Sede. A parlare è il direttore della Sala Stampa, Padre Federico Lombardi che smentisce totalmente la pista islamica e in una nota scrive: “Ho incontrato e interrogato il card. Stanislaw Dziwisz su alcuni punti molto concreti. Anzitutto, naturalmente, sul colloquio in carcere fra Giovanni Paolo II ed Agca. Il Segretario di Giovanni Paolo II ha una memoria molto viva, in particolare di tutto ciò che riguarda l’attentato. E non c’è da stupirsene. Ora, il Segretario del Papa era presente al colloquio nella cella, naturalmente con il consenso del Papa e, anche se non vicinissimo, poteva sentire con sicurezza il colloquio. La sua testimonianza è quindi fondamentale. Egli conferma come i due interlocutori abbiano parlato del segreto di Fatima e dell’inspiegabilità della sopravvivenza del Papa, ma nega recisamente e assolutamente che si sia parlato dei mandanti e dell’Ayatollah Khomeyni, e che il Papa abbia invitato l’attentatore a convertirsi al cristianesimo. Nega anche quanto viene detto nel libro su una successiva lettera di Giovanni Paolo II ad Agca per tornare a invitarlo alla conversione: secondo il Segretario una simile lettera non c’è mai stata”.
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