Pubblichiamo uno stralcio del testo del Card. Robert Sarah, contenuto nel volume Dieci Comandamenti per dieci Cardinali, pubblicato da Edizioni Ares e da oggi in libreria o online
“(…) Dobbiamo riflettere anche sulla diminuzione della nostra libertà, che parecchie autorità nazionali hanno decretato in occasione della pandemia da Covid-19. Molti si sono domandati se simili restrizioni fossero legittime da un punto di vista giuridico e morale. Non intendiamo dirimere qui questioni molto complesse come queste. Di certo si può dire che lì dove gli Stati hanno imposto alla Chiesa la sospensione del culto pubblico di Dio, essi hanno compiuto un grave ed inammissibile abuso di potere. I vescovi hanno l’autorità – in casi estremi – di sospendere temporaneamente il culto e di dispensare i fedeli dalla partecipazione ad esso, ma tale autorità non appartiene ai reggitori della cosa pubblica. I governanti sono in genere molto scrupolosi nel difendere ciò che oggi si chiama laicità dello Stato, elevando prontamente barriere e rivolgendo severe critiche quando hanno l’impressione che la Chiesa voglia ingerirsi in decisioni che competono alla sola autorità civile.
Costoro non dicono «libera Chiesa e libero Stato», bensì «libera Chiesa in libero Stato». Bisogna comunque ammettere che, nelle recenti vicende legate al Covid- 19, gli Stati hanno potuto facilmente commettere abusi di potere proibendo il culto divino, a causa dell’intiepidirsi della fede, della debolezza e acquiescenza soprattutto di noi vescovi. Nel mondo sono state numerose le situazioni in cui noi Pastori non abbiamo combattuto per preservare la libertà di culto del gregge di Cristo. In certi casi, i vescovi hanno preso decisioni ancor più restrittive dei governi civili, per esempio decidendo la chiusura delle chiese anche lì dove lo Stato non lo imponeva. Di tutto questo dovremo certamente rendere conto al giudice supremo.
Oltre a trasmettere ai fedeli la falsa idea che «partecipare» a messa in streaming o anche non parteciparvi affatto è lo stesso che recarsi alla domenica in chiesa, questo atteggiamento di noi Pastori ha rafforzato la convinzione che, in fondo, pregare e dare culto a Dio sia qualcosa di meno importante della salute fisica. Quanti Pastori hanno affermato pubblicamente, durante la pandemia, che la Chiesa metteva al primo posto la salute dei cittadini! Ma Cristo è morto sulla croce per salvare la salute del corpo o per salvare le anime? È chiaro che la salute è un dono di Dio e la Chiesa da sempre la valorizza e se ne prende cura in molteplici modi. Ma più ancora della salute del corpo, per noi Pastori conta quella dell’anima, la quale è la «suprema lex», la legge suprema, nella Chiesa.
Abbiamo permesso che i nostri fedeli restassero per lungo tempo senza la liturgia, senza la Comunione eucaristica e la Confessione, quando invece come si è visto bastava organizzarsi per offrire i Sacramenti in modo sicuro anche dal punto di vista sanitario. Avremmo potuto e dovuto protestare contro gli abusi dei governi, ma quasi mai lo abbiamo fatto. Molti fedeli sono rimasti scandalizzati da questa immediata e silenziosa sottomissione dei Pastori alle autorità civili, mentre queste compivano un vero abuso di potere, privando i cristiani della libertà religiosa. D’altro canto, va lodato l’esempio contrario di quei Pastori che hanno agito secondo il Cuore di Cristo, quale, per citarne solo uno, l’arcivescovo di San Francisco, mons. Salvatore Joseph Cordileone. La sua testimonianza dimostra che lottare per la giusta causa costa fatica e attira critiche ingiuste e persino calunnie o persecuzioni di vario tipo, ma che alla fine il Signore concede la vittoria (…)”