Era soprannominato “monsignor 500 euro” perché secondo i più maligni d’Oltretevere teneva nel portafogli sempre alcune banconote di grosso taglio. Per monsignor Nunzio Scarano, ex contabile dell’APSA, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, in pratica la Banca Centrale del Vaticano, è arrivata ieri una condanna in appello a tre anni di carcere per corruzione e calunnia.
Il nome del monsignore originario di Salerno era finito su tutti i giornali qualche mese dopo l’elezione di Papa Francesco. E non per una promozione o per qualche missione umanitaria. Per soldi. Gli uomini del nucleo valutario della guardia di finanza, infatti, avevano arrestato l’alto prelato dopo una rocambolesca vicenda degna di un thriller che vedeva coinvolti uomini dei servizi segreti, borsoni pieni di banconote, un broker finanziario e l’immancabile IOR, l’Istituto per le Opere di Religione.
In pratica Scarano aveva tentato di far rientrare dalla Svizzera, a bordo di un jet privato, circa 20 milioni di euro, per conto di alcuni armatori salernitani la cui posizione è stata successivamente archiviata. Per questo il monsignore era finito in carcere nel giugno 2013 e da lì erano iniziati i suoi guai giudiziari con due diversi processi a Roma e a Salerno. Immediato il licenziamento da parte del Vaticano. Le accuse di corruzione e calunnia sono state sempre al centro dei dibattimenti romani: Scarano, secondo l’accusa, avrebbe versato 400mila euro all’ex 007 Giovanni Maria Zito per concludere l’operazione segreta a bordo del jet. L’agente però non era riuscito a portare a termine la missione.
A quel punto Scarano aveva accusato falsamente Zito di furto e ricettazione di un assegno bancario da 200mila euro che il monsignore avrebbe consegnato all’ex 007 per l’operazione di rientro del capitale. “Monsignor 500 euro”, secondo l’accusa, però aveva già versato all’agente segreto 400mila euro come anticipo per quella delicata operazione. Dopo un’assoluzione in primo grado, nel 2016, dal reato di corruzione e una condanna per calunnia, ieri la corte d’appello di Roma ha confermato per Scarano la condanna, ritenendolo colpevole anche del reato di corruzione: tre anni di reclusione.
All’inizio della vicenda giudiziaria, Scarano si era appellato direttamente a Bergoglio scrivendogli dal carcere: “Santo Padre Francesco, io non ho mai riciclato denaro sporco e non ho mai rubato, ho vissuto sempre con dignità il mio ministero sacerdotale, cercando di aiutare tutti coloro che richiedevano aiuto, visto che la provvidenza è stata tanto, tanto generosa con me”. Parole, però, che non hanno convinto né il Papa, né i magistrati. I giudici hanno contemporaneamente confermato la condanna a un anno e 8 mesi già pronunciata in primo grado per l’ex agente Giovanni Maria Zito e per il broker Giovanni Carenzio, che aveva conosciuto il monsignore attraverso l’ordine costantiniano di San Giorgio.
(Articolo pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano Il Giornale)