Quando tre giorni fa Francesco lo aveva ricevuto in udienza privata, il cardinale George Pell, accusato da più persone di abusi su minori compiuti negli anni ’70 a Ballarat, in Australia, si era presentato dal Papa con la lettera di dimissioni dall’incarico di prefetto della Segreteria per l’Economia.
Ma Bergoglio gli aveva prontamente risposto: “Non accetto le tue dimissioni. Fino a quando i giudici non si pronunceranno, tu per me sei innocente”. Dimissioni respinte dal Papa quindi e incarico congelato per permettere al cardinale di poter tornare in Australia e sottoporsi al processo che lo vede imputato. Dopotutto Bergoglio con la sua politica di “tolleranza zero” e lo slogan “niente sconti per nessuno”, aveva chiarito il concetto anche ai suoi più stretti collaboratori: con gli abusi sui minori si va a processo, il tempo dei panni sporchi lavati in casa è finito. E così il gigante australiano, una delle nomine più importanti del pontificato di Francesco, ha gettato la spugna dopo oltre 4 anni di lavoro in Curia, tra veleni e polemiche, lasciando per il momento l’incarico di prefetto della Segreteria per l’Economia, consapevole che forse non rientrerà mai più in Curia. Lo decideranno i giudici. Il Papa, infatti, aspetterà il verdetto della giustizia australiana per procedere con una nuova nomina, considerando anche che il mandato di Pell (che ha già superato l’età della pensione) scadrà comunque nel 2018. Stesso discorso per il C9, il consiglio di cardinali che aiuta il Papa per la riforma della Curia Romana: Pell fa parte del consiglio come rappresentante dell’Oceania e come capo delle finanze vaticane. Il suo posto rimane per il momento congelato, anche perché non sono previste nuove riunioni del C9 fino a settembre.
Nonostante la fiducia del Papa, però, i nemici di Pell in questi anni sono cresciuti a vista d’occhio, addirittura qualcuno ha pure brindato nei dintorni del Vaticano dopo la notizia dell’incriminazione del cardinale 76enne. Il “ranger” (questo il soprannome dato dal Papa a Pell) si stava muovendo in Curia “come un elefante” per applicare la riforma finanziaria voluta da Bergoglio, senza guardare in faccia a nessuno, rompendo alcuni equilibri romani, in nome della trasparenza tanto invocata da Jorge Bergoglio. E, infatti, adesso che il porporato lascerà Roma, il timore che cresce nei Sacri Palazzi è che la riforma economica possa arenarsi, anche a seguito delle dimissioni, qualche giorno fa, del revisore generale dei conti, Libero Milone, laico scelto per quel ruolo dal Consiglio dell’Economia della Santa Sede.
Quella di Pell è stata una nomina sbagliata, mormorano in tanti adesso che l’incriminazione per abusi sessuali su minori è stata ufficializzata, ricordando che il porporato australiano era finito al centro delle cronache anche per le sue spese pazze, svelate nel volume “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi: voli in business class da oltre 1000 euro per la tratta Roma-Londra (un lusso, secondo Pell, motivato dalla stazza e dai problemi fisici che non gli permettono di viaggiare in economy), mobili e armadi per un valore di 47mila euro, un sottolavello da 4.600 euro, preziosissimi abiti liturgici (Pell è indicato come uno dei cardinali più tradizionalisti, amante del rito tridentino), ecc, riuscendo a spendere circa mezzo milione di euro nei primi sei mesi di permanenza a Roma, tutto a carico della Segreteria per l’Economia.
Oltre a questo, Pell negli ultimi quattro anni, aveva animato lo scontro all’interno della Curia Romana per la gestione delle finanze e soprattutto con l’Apsa, la cosiddetta “Banca Centrale” del Vaticano, per la gestione degli immobili della Santa Sede, con riunioni spesso infuocate, dove addirittura una volta il cardinale australiano, battendo i pugni sulla scrivania, si era rivolto a un confratello cardinale dicendo: “Lei deve fare quello che dico io”. Lasciando questa volta l’amaro in bocca anche a Francesco.
(Articolo pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano Il Giornale)