Era il 23 marzo del 2013, Bergoglio era stato eletto Papa da 10 giorni e a Castel Gandolfo, durante uno storico incontro (il primo di una lunga serie) Benedetto XVI gli consegnava uno scatolone bianco contenente il dossier Vatileaks , il rapporto choc sul furto di documenti dalla scrivania del Pontefice, stilato dai tre cardinali «detective» Julian Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi.
Se n’era già parlato durante le congregazioni generali dei cardinali che avevano preceduto il conclave, ma proprio da quel momento, seduto lì, davanti al Papa Emerito ancora addolorato per il «tradimento» subito dal suo maggiordomo Paolo, Francesco aveva deciso di cambiare totalmente strategia e puntare su un metodo innovativo che permettesse di tracciare chiaramente e senza possibilità di fallimento ogni documento in uscita dal suo studio della residenza Santa Marta in Vaticano.
Delle chiavette Usb, di colore bianco, con sopra stampato lo stemma pontificio (uno scudo blu con il simbolo dei gesuiti, una
stella e il fiore di nardo); pennette digitali che per la prima volta Il Giornale è in grado di mostrare e che contengono tutti i documenti più importanti di Bergoglio, consegnati in formato digitale direttamente nelle mani dei destinatari, senza più fotocopie, senza fogli di carta che viaggiano di mano in mano.
La nuova strategia «ambientalista» del Pontefice, messa in campo per evitare altre fughe di documenti si basa tutta sulle nuove tecnologie e permette a Bergoglio di sapere immediatamente il nome della persona che può aver diffuso questo o quel carteggio riservato scritto di suo pugno. La tecnica è molto semplice: il documento personale viene scannerizzato e caricato su chiavetta; a quel punto la pennetta Usb viene messa dentro una busta che viene sigillata e siglata dal Papa sul retro, in modo da capire se qualcuno ha tentato di aprirla. A quel punto i segretari del Pontefice consegnano di persona la busta al destinatario, che da quel momento diventa l’unico responsabile di tutto il contenuto.
Dentro le chiavette il Papa carica corrispondenza personale con cardinali, vescovi e laici che vivono in Vaticano, direttive, indicazioni per i capi dicastero, o ancora lettere riservatissime che riguardano le nomine e che da Santa Marta arrivano dritte in Segreteria di Stato, sempre all’interno delle pennette pontificie. Tutto trascritto al computer dai fidatissimi segretari di Bergoglio, pontefice poco avvezzo al mondo digitale ma che ultimamente si è cimentato anche nella scrittura di numerose e-mail destinate agli amici e ai conoscenti in Argentina.
Un metodo, quello delle chiavette Usb, che ha permesso più di una volta al Papa di capire se in Vaticano ci fosse qualcuno pronto a diffondere ancora documenti riservati, come successo a Ratzinger nel 2012 con il torbido Vatileaks. E proprio quel giorno, davanti a Benedetto XVI, Papa Francesco si convinse che non ci sarebbero più state fughe di documenti, capì che serviva una nuova strategia, un cambio di rotta radicale: serviva molta pazienza, tanta saggezza e una fornitura di chiavette Usb con lo stemma papale.
(Articolo per Il Giornale)