Signor Mari, che sensibilità ci vuole per fare questo lavoro?
Bisogna credere innanzitutto in quello che si fa ed essere consapevoli del personaggio che si ha accanto, tenendo presente che si tratta di un papa. Per avere ottimi risultati, bisogna sentire dentro questo lavoro.
Le è mai successo che un papa le abbia chiesto di vedere le foto prima che fossero pubblicate?
No, non è mai successa una cosa del genere. Quali sono le foto che non si devono mai fare ad un papa?Credo che le foto che non si debbano mai fare sono quelle quando il papa è in santa pace, immerso nella sua privacy come tutti gli esseri umani.
Come si è evoluta la sua professione con il passar del tempo?
Di tempo ne è passato se pensiamo che ho servito fino ad oggi sei pontefici con sei personalità differenti. Si sono evolute anche le tecniche ma avendo la testa al lavoro tutto rimane come sempre, senza cambiamento alcuno.
Che tipo di foto ad un papa può rendere meglio?
Penso che le migliori foto siano quando il papa è in attività, nelle udienze o in mezzo alla gente; quelle insomma in cui la persona del papa può esprimere tramite un’immagine la sua missione, il suo apostolato. Ci sono anche quelle con i capi di Stato e di Governo, anche se sono un po’ troppo formali. I migliori risultati si ottengono comunque quando il papa è a contatto con i poveri o con i malati negli ospedali.
Qual è stato il papa più fotogenico?
Penso Giovanni Paolo II o anche Benedetto XVI anche se comunque sta a me trovare l’immagine più bella e lineare da trasmettere. Il papa si comporta sempre in maniera molto naturale ed è in questa naturalezza che poi vengono fuori le immagini più belle.
Qual è il ricordo più bello che ha del suo lavoro?
Sicuramente quando Giovanni Paolo II, sei ore prima di morire, mi ha mandato a chiamare per ringraziarmi per quello che avevo fatto per lui Il Santo Padre era disteso sul suo letto, io sono entrato e mi sono inginocchiato. Il suo segretario, Don Stanislaw, gli disse in polacco “Santità, Arturo è qui”; lui si girò verso di me e mi disse “Arturo, grazie di cuore per tutto”.
Come è cambiato il suo lavoro sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, visti gli innumerevoli viaggi?
Come è cambiata la Chiesa, è cambiato anche il mio lavoro, come il messaggio che lui portava in tutto il mondo. C’è stata sicuramente una grande evoluzione nella missione apostolica ed automaticamente, stando accanto a lui, si è andati avanti insieme a lui, con un aumento vertiginoso del ritmo lavorativo.
Assolutamente no. Lui cercava sempre di mostrare a tutti la sua malattia. Anche nei momenti più tristi e dolorosi, non ha mai mancato di far sentire il suo calore umano. Per cui è stato lui a condizionarci a vedere la vita sotto questo aspetto, senza farci prendere da rimorsi o ripensamenti, accompagnandoci fino alla fine della sua vita con una certa dolcezza, nonostante il forte dolore.
Sappiamo bene che Albino Lucani, Giovanni Paolo I, era una persona abbastanza umile e restia a farsi fotografare; che ricordo ha di quei 33 giorni di pontificato?
Un ricordo molto bello, innanzitutto perchè conoscevo papa Luciani già da cardinale, quando era Patriarca di Venezia. Poi sono stati 33 giorni in cui ho avuto anche la fortuna di rimanere per parecchio tempo da solo con lui nei giardini vaticani per eseguire le prime foto. Un ricordo molto dolce, umano, anche se in 33 giorni non ho potuto focalizzare al 100% la persona.
Che ricordo può darci per ognuno dei papi che ha conosciuto?
Ho cominciato con Pio XII e dobbiamo calcolare che è stato il “papa della guerra” quindi che ha governato la Chiesa in un periodo molto delicato. Uscivamo dal conflitto mondiale e spesso ci si trovava in delle situazioni non comprensibili oggi.
Con Giovanni XXIII la Chiesa inizia ad aprirsi, ci sono state le prime uscite e quindi le prime foto scattate al di fuori delle mura Vaticane, nel carcere e negli ospedali Con l’avvento di Paolo VI, il papa che chiude il Concilio Vaticano II e inaugura l’apertura ai sinodi, sono iniziati i miei primi viaggi all’estero accanto a lui, in Terrasanta, negli Stati Uniti, in Uganda a Manila, dove scampò ad un attentato, ecc. ecc. Poi arriviamo a Giovanni Paolo I, che non riuscì a sviluppare la sua missione ma del quale riuscii subito a capire la sua indole durante i discorsi nelle udienze. Ovviamente con Giovanni Paolo II, non ci sono parole per spiegare che pontificato è stato; i numerosi viaggi, i bagni di folla sempre a contatto con la gente, soprattutto con i giovani mi hanno permesso di poter raccontare attraverso le foto il suo operato, che si distacca completamente da tutti i suoi predecessori. Adesso Benedetto XVI riceve in eredità una Chiesa, un mondo che deve seguire la strada che ha spianato Giovanni Paolo II. Il compito di Papa Ratzinger non è semplice, ma lui sa bene ed è consapevole di tutto ciò e sta lavorando abbastanza bene.
Quando Arturo Mari deciderà di andare in pensione, quali caratteristiche dovrà avere il suo successore?
Senza troppi giri di parole, io spero che il mio successore abbia appreso come si debba condurre una vita essendo il fotografo del Papa, senza tante parole ma dando l’esempio.
Fabio Marchese Ragona